Qualcuno potrebbe vivere fino a 150 anni? La recente discussione che ha dato il via a un dialogo privato tra Vladimir Putin e Xi Jinping.

Qualche giorno fa, durante la parata militare a Pechino in occasione dell'80° anniversario della fine della guerra con il Giappone, un microfono aperto ha catturato una conversazione che si è presto diffusa in tutto il mondo. Xi Jinping ha parlato della possibilità che gli esseri umani vivano 150 anni prima della fine di questo secolo, mentre Vladimir Putin ha menzionato i trapianti successivi come un modo per raggiungere questo obiettivo. I media hanno trasmesso l'audio e confermato la traduzione.

Vladimir Putin e Xi Jinping camminano verso Piazza Tienanmen. Foto: AFP
Al di là della natura aneddotica della conversazione, l'episodio riflette un profondo impulso politico: la tentazione dei potenti di proiettare il proprio dominio anche sul tempo biologico. Non si trattava di un commento superficiale, ma di una scena in Piazza Tienanmen, tra missili e simboli del potere, dove due leader immaginavano un futuro in cui la vita stessa potesse essere gestita.
Innanzitutto, i trapianti sono uno dei più grandi trionfi della medicina moderna, ma non la chiave per una vita lunga 150 anni. Il primo traguardo fu raggiunto da Joseph Murray a Boston nel 1954, quando eseguì con successo un trapianto di rene tra gemelli identici, una svolta che gli valse il Premio Nobel nel 1990. Da allora, i progressi sono stati notevoli: nel 2023, sono stati eseguiti oltre 172.000 trapianti in tutto il mondo, il 9,5% in più rispetto al 2022, secondo l'Osservatorio Globale sulla Donazione e il Trapianto dell'OMS. Ma la carenza rimane drammatica: solo un paziente su dieci nell'elenco riceve effettivamente un organo.
I numeri mostrano sia la potenza che i limiti di questa tecnica. Un trapianto di rene da donatore vivente può durare dai 15 ai 20 anni; uno da donatore deceduto, dagli 8 ai 12. Un fegato offre un tasso di sopravvivenza a cinque anni di quasi il 75%, un cuore trapiantato prolunga la vita in media di 12 anni e un polmone solo dai 6 ai 7. Queste sono seconde possibilità che salvano vite, ma non ringiovaniscono il corpo. Il sistema nervoso, i vasi sanguigni, il sistema immunitario e l'orologio genetico continuano a ticchettare. Parlare di trapianti seriali come di un passaporto per i 150 anni non è una visione accademica, ma una licenza politica.

La vera sfida non è vivere più a lungo, ma invecchiare meglio. Foto: Javier Agudelo. Archivio EL TIEMPO
Il vero orizzonte della longevità sta emergendo in altri scenari. Le cellule staminali consentono già di coltivare tessuto epatico, cardiaco e renale parzialmente funzionante; a Cambridge sono stati sviluppati gli organoidi, minuscoli organi in miniatura che riproducono processi biologici e potrebbero essere utilizzati sia per la ricerca sulle malattie che per la produzione di organi funzionali. A Tel Aviv e negli Stati Uniti, cuori stampati in 3D sono stati stampati utilizzando le cellule dei pazienti stessi, progressi ancora sperimentali che anticipano un futuro in cui la carenza di donatori sarà risolta attraverso la biofabbricazione. La Methuselah Foundation in Virginia finanzia progetti con un obiettivo chiaro: portare questi organi biostampati dal laboratorio alla sala operatoria nei prossimi decenni.
Ancora più audace è il tentativo di ringiovanire gli organi esistenti. Al Salk Institute (USA), lo spagnolo Juan Carlos Izpisúa Belmonte ha dimostrato che la riprogrammazione epigenetica può ripristinare le caratteristiche giovanili delle cellule invecchiate. Nei topi, la tecnica ha prolungato la durata della vita fino al 30% e ha permesso il recupero delle funzioni perse. Nel 2020, uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato che l'applicazione dei cosiddetti "fattori di Yamanaka" ha rigenerato i nervi ottici e ripristinato la vista negli animali.
È qui che emerge la figura più illustre in questo campo: David Sinclair, genetista dell'Università di Harvard, che sostiene che "la prima persona che vivrà fino a 150 anni è già nata". Sinclair si basa sui risultati di laboratorio sulla rigenerazione dei tessuti e sull'uso dell'intelligenza artificiale per identificare molecole con potenziale ringiovanente. Le sue affermazioni hanno trasformato la longevità in un argomento di conversazione globale, sebbene gran parte della comunità scientifica insista sul fatto che, per ora, si tratti di aspettative piuttosto che di certezze.

Trapianti, cellule staminali, organoidi e intelligenza artificiale alimentano la speranza di un invecchiamento sano. Foto: iStock
Sono in corso anche altre ricerche. I senolitici, farmaci che eliminano le cellule invecchiate e disfunzionali, hanno mostrato miglioramenti nella funzionalità cardiaca e ossea negli animali. L'editing genetico con CRISPR apre la possibilità di correggere le mutazioni che predispongono all'invecchiamento precoce o alle malattie degenerative. E l'intelligenza artificiale è diventata un alleato nello screening di milioni di composti e nella previsione di quali potrebbero diventare terapie efficaci.
Questa serie di progressi non garantisce ancora che qualcuno raggiungerà i 150 anni di età, ma delinea un cambiamento nella narrazione: non si tratta di aggiungere decenni vuoti al calendario, ma piuttosto di prolungare la vita sana, comprimere le malattie e allungare la vitalità oltre ciò che sembra naturale oggi.
Le aspettative odierne I dati demografici, nel frattempo, ci ricordano il divario tra aspettative e realtà. Uno studio pubblicato su PNAS nel 2025 ha rivelato che in 23 paesi ricchi, l'aumento storico della longevità ha subito un rallentamento compreso tra il 37% e il 52% . Mentre nella prima metà del XX secolo, ogni generazione aggiungeva quasi mezzo anno di vita, oggi guadagna a malapena due o tre mesi. Il motivo non è un limite biologico assoluto, ma piuttosto il fatto che importanti risultati sono già stati raggiunti nell'infanzia e nell'adolescenza – con vaccini, antibiotici, servizi igienico-sanitari – e replicare tale accelerazione in età adulta è molto più difficile.
Anche i dati umani invitano alla cautela. Jeanne Calment, la francese morta nel 1997 a 122 anni e 164 giorni, rimane la persona più anziana mai convalidata. Nessun altro essere umano ha superato tale soglia. Studi pubblicati su Nature Communications collocano il limite biologico umano tra i 115 e i 125 anni. I 150 sognati a Pechino non sono solo lontani: rappresentano un abisso tra prove e ambizione.
Ad esempio, oggi, secondo le Nazioni Unite, l'aspettativa di vita globale è di 73,3 anni. Il Giappone è in testa con 84,6; la Cina raggiunge i 78 anni e la Russia si avvicina ai 73. L'aspetto più preoccupante è il divario di quasi nove anni tra gli anni vissuti e gli anni vissuti in condizioni di benessere. Le persone vivono più a lungo, è vero, ma con lunghi periodi di malattia e dipendenza.
In definitiva, la scena di Pechino parla più di potere che di scienza. Immaginare vite lunghe 150 anni significa proiettare un dominio persino sulla morte, mentre la scienza avanza con un linguaggio diverso: quello dei trapianti che prolungano ma non ringiovaniscono, quello dei laboratori che testano cellule staminali, organoidi, senolitici, CRISPR e riprogrammazione epigenetica. Di fronte alla magniloquenza politica, la realtà ci ricorda qualcosa di più urgente: persino l'attuale aumento dell'aspettativa di vita ha messo intere società con le spalle al muro, non per la promessa di una longevità mitica, ma per il reale peso della disabilità fisica, della dipendenza e del declino mentale sperimentato da milioni di anziani. Questa, non l'illusione di raddoppiare la propria durata di vita, è la sfida immediata: garantire che la vecchiaia sia vissuta con cura, dignità e significato.
Carlos Francisco Fernández
eltiempo