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Come l’AI ha superato la dicotomia tra il sapere del passato e quello del futuro

Come l’AI ha superato la dicotomia tra il sapere del passato e quello del futuro

Foto di Andy Kelly su Unsplash

tra Antichi e Moderni

È mutato il paradigma. L'intelligenza artificiale incorpora il sapere antico e i suoi metodi per proiettarli verso un nuovo sapere e una nuova avanzatissima metodologia

Si assiste oggi, in una forma attualizzata, alla curiosa riproposizione di una celebre querelle, quella tra Antichi e Moderni. Sorta in Italia con gli scritti irriverenti e anticlassicisti di Tassoni, Boccalini, Lancellotti, passò poi alla Francia del Re Sole la quale, come spesso accade Oltralpe, se ne intestò in pompa magna la paternità (e chi volesse approfondire il tema dispone di un ottimo Folio classique di 900 pagine prefato da Marc Fumaroli). Orbene se ieri il contendere verteva intorno alla perfezione poetica di Omero o all’effettiva sapienza dei filosofi antichi rispetto al presente, oggi invece verte sull’AI che sta divorando interi comparti del sapere umanistico d’antan (dall’educazione alla traduttologia, dalla filologia alla poiesi, dall’enciclopedismo alla storia), appannando altresì quel luccicore divino che l’uomo – forse con malriposta baldanza – attribuiva esclusivamente alla propria specie.

Tra gli odierni rappresentanti nostrani degli Antichi vi è di certo il classicista Ivano Dionigi il quale, nel suo recentissimo Magister, rivendica ancora i vecchi (ma per lui sacri e insuperabili) metodi del sapere umanistico greco-latino, guardando in primis ad Aristotele, per il quale “l’uomo è l’unico essere ad avere logos”, e alla scuola “come contrappeso e anche contraltare al monoteismo tecnologico imperante”. Fondamentalmente sulla stessa linea, benché più zigzagante sull’AI, si muove anche Umano, poco umano di Giuseppe Girgenti, altro classicista di vaglia. Eppure Gemini e ChatGPT (la loro versione open, nemmeno quella a pagamento) sviluppano un logos già quasi superiore al nostro per equilibrio e velocità di ideazione, ed è solo il primo vagito di tali entità algoritmiche (ancora in fasce per dir così), le quali non potranno che crescere e migliorarsi all’inverosimile ossia sino al genio e oltre. Anche la scuola – soprattutto l’italiota con le sue aberranti storture e parzialità – sembra oggi un’istituzione antidiluviana, un vero fossile vivente, a petto del perfetto pedagogo artificiale, autodidattico, sorta di simulacro cyber dell’aio privato o del Chirone. In verità l’avvento dell’AI è come una piccola domestica rivoluzione copernicana che spodesta l’uomo e le sue carabattole valoriali dal centro del mondo cognitivo per declassarlo a pianeta nano, gelido e vorticoso. D’altronde appare ormai abbastanza palese, e pure un po’ fatale vista la triste china presa dal mondo, che da 2.500 anni in qua né Platone né Aristotele abbiano introdotto più luce d’intelligenza o giustizia di quanto abbia modestamente fatto il semaforo dal giorno della sua invenzione nel 1920. E il semaforo – cronometrico regolatore del traffico urbano – sta all’AI come il Pitecantropo al Sapiens, tanto che varrebbe forse in futuro, se proprio si vuole scongiurare l’estinzione umana, far regolare tutto da un qualche supercomputer quantistico (come per esempio nel mondo post atomico immaginato dalla serie Raised by Wolves di Ridley Scott).

Quindi a ben considerare il parallelo tra Antichi e Moderni oggi è mutato, perché mutato è il paradigma: quella vecchia dicotomia riesce ormai effimera in quanto già sussunta e superata dall’AI che – onnisciente database dell’umanità – incorpora il sapere antico e i suoi metodi per proiettarli verso un nuovo sapere e una nuova avanzatissima metodologia. Chi è nato dentro tale paradigma, quello dell’AI, è immerso nel proprio habitat; mentre chi è nato ieri – coloro che i giovinastri chiamano ironicamente i gutenberg perché ancora stampano i documenti non fidandosi del cloud – si sente un sopravvissuto da rottamare, invocando perciò il “buon tempo antico” a mo’ di ultimo disperato arrocco. Alla fine aveva capito tutto Guicciardini, antesignano cinquecentesco non rilevato della querelle: “Chi sapessi bene mutare la natura sua co’ tempi […] arebbe del divino. Ma è uno effetto della natura, che, come chi ha uno abito, non è facile mutarlo, così chi ha consuetudine a governarsi in uno modo, o ha per natura sua una inclinazione, non può facilmente variare il suo stile”.

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