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'Come stai?'

'Come stai?'

"Cosa mi è successo..." disse un amico, guardandomi ancora un po' scioccato. Mi preparai, perché non era uno che si agitava facilmente. "Forse è qualcosa per la tua rubrica", aggiunse con una risatina sottile.

Qualche tempo prima aveva incontrato un nuovo vicino. Avevano chiacchierato piacevolmente a casa sua di questo e quello, e da allora non si erano più visti.

Un pomeriggio, qualche mese dopo, stava camminando per strada e incontrò una donna che lo fermò con la domanda più frequente al mondo: "Come stai?". Non conosceva la donna e, mentre rifletteva sulla formula standard per rispondere, si chiese febbrilmente: "Chi è?".

Notò che lei lo conosceva abbastanza bene da pronunciare casualmente il suo nome durante la conversazione. Si comportò come se niente fosse, rendendosi conto che non avrebbe potuto chiedere: "Chi sei, comunque?"

Si scambiarono ancora qualche convenevole e poi si separarono amichevolmente. Sbalordito, lui continuò a camminare. Non gli sembrava, a posteriori, in qualche modo familiare, dopotutto, si chiese? Era forse una conoscente di qualche anno prima che non aveva mai più rivisto? Non riusciva a capirlo, maledisse la sua memoria che si stava affievolendo e si arrese.

Poco dopo, vide la stessa donna entrare nel condominio accanto al suo. Santo cielo, era la sua occasione. Le si avvicinò a passo svelto per la sua età e le gridò: "Posso chiederti una cosa?". Lei rimase lì, imbarazzata.

"Devo farti una confessione", disse. "L'altro giorno stavamo parlando per strada e non sapevo esattamente chi fossi, ma non ho osato dirlo. Ora vedo che vivi qui."

Lei lo guardò senza espressione e chiese: "Ma tu lo sapevi, vero? Che sono la tua vicina? Sono già venuta a trovarti!"

Lui le rimase davanti, sbalordito. "Scusa... scusa", riuscì solo a mormorare. E poi: "Non ricordavo proprio. Ora che ci pensi, ricordo quella conversazione a casa, molto vagamente, ma avevo completamente dimenticato la faccia che la accompagnava."

Era un'osservazione spiacevole anche per lei, lo sapeva, mentre improvvisava qualche scusa esplicativa. "Alla tua età, potresti aspettartelo più spesso", disse senza sarcasmo. Aveva circa vent'anni meno di lui. "Per fortuna, questa volta ti ho riconosciuto", disse lui mentre si separavano con un vago saluto.

A casa, cercò su internet cosa potesse avere. Si imbatté in una parola di cui non aveva mai sentito parlare: prosopagnosia, o prosopagnosia, l'incapacità di riconoscere i volti, anche quelli delle persone che conosce, a volte persino il proprio, allo specchio. Può essere congenita, ma può anche svilupparsi, temporaneamente o meno, a causa di una malattia (ictus, tumore, demenza) o di una lesione cerebrale dopo un incidente.

Ne soffre circa una persona su cinquanta. La domanda ora era: era lui quello giusto? "Se mai smettessi di salutarti, sapresti cosa sta succedendo", disse il mio amico rassegnato.

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