Il soggiorno della regina Maria Casimira a Roma in mostra ai Musei Capitolini


Palazzetto Zuccari, dove soggiornò Maria Casimira (foto Getty)
La mostra
Dai pellegrinaggi alle basiliche romane fino alle lavande dei piedi a pellegrini. Francesca Ceci e Jerzy Miziolek dedicano una mostra ai 15 anni trascorsi nella capitale dalla consorte di Jan Sobieski, il re cattolico di Polonia
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“E lo sapete pur, e lo sapete, che la feccia del monno, i Turchi indegni, d’abbuscà Vienna bella hanno gran sete… Se Vienna casca, ahimè, che poco doppo Italia se ne va, va Roma a sacco”. Se della faccenda parlava anche Meo Patacca nell’omonimo poemetto popolaresco, era segno che la fifa era a mille in tutta Roma, capitale mondiale dell’Occidente. Se le truppe maomettane riuscivano ad azzannare la “mela d’oro”, come la Mezzaluna chiamava Vienna, avrebbero subito dopo fatto a spicchi il resto delle nazioni cristiane. Ma la Provvidenza mandò Jan Sobieski, il re cattolico di Polonia, che il 12 settembre 1683 sgominò con la sua cavalleria ussara le forze ottomane di Kara Mustafà Pascià, facendo tirare un sospiro di sollievo generale. “Io ho creduto Vienna perduta senza un miracolo” confessò la fumantina regina Cristina di Svezia che, da convertita dal luteranesimo, aveva abdicato al trono e dal 1655 s’era trasferita a Roma. Ma su di lei torneremo.
La vittoria viennese del 1683 sui maomettani diventò, scampato il pericolo, una seconda Lepanto e, come per quella, Pio V aveva istituito la festa della Madonna del Rosario (7 ottobre), così per questa Innocenzo XI introdusse in calendario la festa del Santo Nome di Maria (12 settembre). E la gratitudine al “sarmata Achille”, “nuovo Costantino” (Constantinus dedit, Joannes servavit) si estese anche alla di lui consorte Maria Casimira, chiamata affettuosamente Marysienka, quando ella, dopo la morte del marito (1696), per sottrarsi alle aspre contese successorie, se ne venne a Roma con la sua corte per il Giubileo del 1700 e vi restò per 15 anni, risiedendo perlopiù a Palazzetto Zuccari, oggi sede della Biblioteca Hertziana. A questo prolungato soggiorno regale e alle sue tracce documentali e artistiche a noi pervenute è dedicata l’interessante mostra ai Musei Capitolini “Una regina polacca in Campidoglio” curata da Francesca Ceci e Jerzy Miziolek.
Maria Casimira aveva chiesto che si adottasse per lei lo stesso cerimoniale e la medesima pompa riservati decenni prima alla regina Cristina di Svezia – senza voler indispettire le lettrici: tra due regine senza trono, anche se una era appena morta, le comparazioni erano prevedibili e inevitabili – ma ciò non avvenne e per un duplice motivo: la svedese, aristocratica convertita dal protestantesimo, costituiva un fulgido stendardo di revanche per la Chiesa cattolica da sventolare in faccia alla nobiltà europea riformata e il suo trono, a differenza di quello polacco, era dinastico e non elettivo, dunque di rango superiore; inoltre era stata lei a scegliere di abdicare, mentre Maria Casimira, ormai vedova, era stata fatta fuori dai giochi di potere. Per quest’ultima l’accoglienza romana non era in fin dei conti che un gesto di doveroso omaggio alla ex first lady dell’eroe di Vienna; e comunque anche lei fu ricevuta con onore, era pur sempre stata consorte del Defensor fidei.
Quanto al soggiorno, a differenza della vulcanica, irascibile e mondana Cristina, la regina polacca rifuggiva dall’ostentazione e amava praticare atti di pietà e carità: molti sono i resoconti dei suoi pellegrinaggi a piedi alle basiliche romane e delle sue lavande dei piedi a pellegrini durante la Settimana Santa.
Era anche molto interessata all’arte, tanto da far costruire nella sua dimora uno spazio scenico denominato “il piccolo Teatro della Regina” dove furono rappresentate opere e celebrati concerti. Ammirò moltissimo Frascati, dove si recò a trascorrere qualche giorno su invito di don Livio Odescalchi (“Rimarrete incantato da Frascati” – scrive al figlio, principe Giacomo – “La villa dei Pamphili, che si chiama Belvedere, è stupefacente perché tutto ciò che l’arte e la natura possono combinare è tutto lì”), dopo aver dovuto rifiutare l’invito ad Albano nella Villa del cardinal Ottoboni, perché le dame e i cavalieri lì convitati avevano espresso imbarazzo per la presenza della vedova vip. Quest’ultimo in realtà la “corteggiava” per averne il sostegno nel Conclave che si aprì dopo la morte del Papa Innocenzo XII, a Giubileo in corso; molti cardinali conservavano stima per l’eroico Sobieski, si trattava di voti preziosi. Lei non si tirò indietro e un disegno in mostra la ritrae a tavola attorniata da otto porporati, a Grottaferrata, in una sorta di congregazione preconclave: chi si lamenta dello scarso potere delle donne nella Chiesa mediti.
L’eco del nome Sobieski s’è prolungata nei secoli: nei Musei Vaticani campeggia un enorme dipinto di Jan Matejko, donato per il bicentenario della vittoria a Leone XIII e dominante la sala intitolata al re condottiero, il “volenteroso” che salvò l’Europa. “Così al Turco successe e ben gli stette, il gastigo che l’aquila gli dette”, commento finale di Meo Patacca.
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