Tumore del colon: l’attività fisica può fermarlo senza chemioterapia

Cinquantamila italiani scoprono ogni anno di avere un tumore del colon-retto. la buona notizia è che, se individuato in fase precoce, può essere curato benissimo, eliminando chirurgicamente il tumore e poi facendo una terapia adiuvante che spazzi via eventuali cellule residue. Purtroppo, però, spesso ci si accorge della malattia quando è già in fase avanzata. Allora le cose si complicano, e il rischio di vederla tornare è del 30%. A quel punto bisogna fare una chemioterapia, che agisce al costo di effetti collaterali spesso difficili da sopportare. Ma uno studio presentato all’Asco, il più importante congresso al mondo di oncologia, in corso a Chicago, offre un’alternativa.
L’attività fisica che evita la chemioUn team di ricercatori canadesi e australiani ha dimostrato che un programma di attività fisica strutturato e seguito da un trainer può tenere lontana per anni la malattia, senza bisogno di chemioterapia.
Già è dimostrato scientificamente che uno stile di vita salubre, fatto di buona alimentazione e movimento, può prevenire le recidive. E le linee guida internazionali indicano agli oncologi di istruire i loro pazienti in proposito. Ma si tratta perlopiù di indicazioni vaghe, e le persone non le seguono in maniera adeguata
Il nuovo studio, invece, è andato a vedere cosa succede se il semplice counseling viene sostituito da un programma strutturato, seguito da un personal trainer che scriverà al paziente una vera e propria “prescrizione”, indicando chiaramente cosa deve fare. Non solo; dopo 6 mesi, i pazienti sono chiamati a incontrare il loro personal e, da quel momento in avanti, lo vedono una volta al mese. Chi segue questo programma ha il 37% di probabilità in meno di morire.
Perché conviene anche economicamente“Lo studio è molto importante, perché dimostra scientificamente che coinvolgere i pazienti in un programma strutturato è meglio rispetto al solo counseling. Il che non vuol dire che informare i pazienti sull'importanza dell'attività fisica non sia importante, anzi dovrebbe diventare parte della routine clinica in tutte le visite. Ma certo, per migliorare l'aderenza e l'efficacia dell'attività fisica, bisogna incentivare programmi strutturati”, commenta Massimo Di Maio, presidente eletto dell’Aiom e professore associato di Oncologia Medica all’Università di Torino.
Questo richiede uno sforzo organizzativo: coinvolgere medici e infermieri, magari anche le associazioni dei pazienti. E di certo pone un problema di risorse in un contesto già sotto stress come i reparti di oncologia. “Ma si può fare. Si tratta di un programma per il quale il rapporto tra costi e benefici è molto più conveniente rispetto a altri interventi farmacologici, ad esempio,” aggiunge Di Maio.
Le ragioni biologiche“Ci sono precise ragioni biologiche che spiegano l'efficacia dell'esercizio fisico contro la proliferazione tumorale”, aggiunge l’oncologo . E parla di effetti sull'infiammazione, sul metabolismo, sul sistema endocrino, sul sistema immunitario.
Ad esempio, continua Di Maio: “L'attività fisica può determinare una riduzione dell'indice di massa corporea, ma diminuisce anche il tempo di permanenza delle sostanze tossiche nell'intestino. Non solo: stimola il sistema immunitario, aiuta a ridurre l'insulino-resistenza, e modula la variazione del livello di ormoni come gli estrogeni”.
Come muoversiSi tratta di capire che tipo di attività fare. “Naturalmente – aggiunge Di Maio – dovremo fare attenzione a calibrare l’attività sullo stato di salute del paziente, sulle sue condizioni cliniche generali. Per questo il fai da te non è consigliato”.
Lo studio presentato all’Asco ha infatti dimostrato che una piccola parte delle persone che hanno partecipato al programma ha avuto conseguenze muscolo-scheletriche .
La Repubblica